Solitudini virtuali: il ritiro sociale negli adolescenti

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Il 2020 è stato davvero un anno complicato e difficile per tutti; la pandemia globale di Covid-19 ha inciso duramente su molteplici aspetti delle nostre vite e della nostra società, dalla salute fisica, a quella psicologica, all’economia. Non c’è stata fascia d’età che sia rimasta immune agli effetti negativi dell’epidemia e delle misure, spesso molto restrittive, messe in atto per fronteggiarla: i bambini hanno dovuto rinunciare per mesi alla scuola, per poi riprendere a viverla in una modalità molto diversa da quella a cui erano abituati; i genitori hanno dovuto far fronte a problemi lavorativi, economici, di gestione della famiglia; gli anziani sono stati i più colpiti a livello prettamente fisico, e in generale il sentimento di isolamento e solitudine si è espanso come una nube scura su tutta la popolazione globale, costretta a casa. E gli adolescenti? Spesso ignorati dalla politica e dal “mondo dei grandi”, dalle analisi sociologiche, è in realtà su di loro che occorre concentrarsi, perché sono gli adulti di domani, perché le loro personalità in costruzione sono sia lo specchio della società in cui spesso si rifiuta di guardare per non riconoscere gli errori commessi, sia la migliore speranza per il prossimo futuro. E che caratteristiche hanno questi ragazzi non ancora uomini, ma non più bambini? In tal senso è esplicativo ed interessante il lavoro di Matteo Lancini, noto psicoterapeuta esperto nel lavoro con adolescenti e autore del libro Il ritiro sociale negli adolescenti. La solitudine di una generazione iperconnessa (2019). Innanzitutto bisogna soffermarsi sul contesto familiare in cui crescono e vivono, in cui spesso entrambi i genitori lavorano ed i ruoli di padre e madre assumono connotati virtuali e simbolici. Vengono inseriti precocemente nel mondo delle relazioni tra pari, spesso sin dall’asilo nido, e diventano dipendenti dai loro coetanei molto più che dagli adulti, che vivono come distanti. La società in cui sono immersi propone competizione continua, importanza dell’immagine, della popolarità, del successo machiavellico, e il confine tra ciò che è privato ed intimo e ciò che è pubblico è ormai caduto tra i milioni di post sui social network sites. I valori comunitari si dissolvono, il mondo esterno diventa un luogo oscuro in cui ci si sente facili prede, e cambia il modo in cui si intende la normalità e la patologia. A tutto ciò, nell’ultimo periodo, occorre sommare l’isolamento causato dalla pandemia che costringe gli adolescenti a casa, lontani dalle relazioni vere coi coetanei, dalla quotidianità concreta che li aiuta a trovare punti di riferimento, e tutto diventa sempre più effimero, immersi nel virtuale delle lezioni online e di Instagram. La continua esposizione alle immagini patinate proposte dal web amplifica la rincorsa ad un ideale irraggiungibile che si scontra con quello che è il vero Io dell’adolescente, con quelli che sono i suoi valori morali. I sentimenti prevalenti sono quelli della vergogna (“ho pochi likes, ho pochi follower, sono brutto/a, non sono popolare”) che si esternalizzano in attacchi verso il proprio corpo attraverso l’uso di sostanze e l’autolesionismo, o verso il coetaneo ancora meno popolare di me (cyberbullismo, sexting). Tali pensieri, tali emozioni, possono indurre al ritiro scolastico e sociale e, per via di un circolo vizioso di ruminazione e depressione, alla dipendenza da internet. Il ritiro sociale non è quindi, in questo ambito, una novità dovuta agli effetti delle misure anti-Covid, ma un fenomeno globale partito dal Giappone e denominato Hikikimori che colpisce maggiormente i maschi e si avvia già durante il periodo delle scuole medie, per poi esacerbarsi durante il primo anno della scuola secondaria di secondo grado. Spesso si esprime attraverso l’abbandono scolastico e la volontaria autoreclusione domestica, determinata prevalentemente dal crollo dell’ideale infantile, inadeguato rispetto ai compiti della fase evolutiva adolescenziale, e dalla paura del confronto sociale coi coetanei. Il ritiro sociale spesso è correlato con la dipendenza da Internet, e sebbene il web non sia la causa della disconnessione degli adolescenti dalla realtà quotidiana ha senz’altro funto da amplificatore per la diffusione di questo fenomeno. Il ritiro nel web segnala un disagio psichico ed un primo personale tentativo di risolverlo, di lenire una sofferenza che la mente non riesce ad integrare. Gli adolescenti “ritirati” individuano in Internet l’unico modo per accedere al sapere, al mondo simbolico (attraverso i giochi di ruolo e gli avatar) e alle relazioni con l’altro, attraverso un contatto corporeo mediato ed intangibile. In questa realtà virtuale anestetizzano i vissuti di tristezza e solitudine e tengono a distanza tollerabile le relazioni interpersonali, così come l’angoscia e l’insicurezza ad esse connesse: il virtuale consente alle fantasie e all’ideale grandioso di Sé di esprimersi liberamente, distorcendo, ingigantendo, mediando, falsando il reale. E’ una difesa, un riparo, un tentativo di salvare il proprio fragile Io; funziona come l’amico immaginario durante l’infanzia, sostenendo lo sviluppo di una rappresentazione di Sé accettabile nei periodi di maggior vulnerabilità psichica e proteggendo dallo scontro coi propri limiti, non ancora accettabili. Come si connette questo isolamento sociale endemico negli adolescenti di oggi, con quello relativo alla pandemia globale in atto? Gli studi attuali traggono conclusioni allarmanti rispetto agli effetti dell’isolamento, mostrando forte correlazione tra solitudine e depressione, sia a breve che a lungo termine. La dott.ssa Loades, dell’Università di Bath, afferma sul Journal of the American Academy of Child & Adolescent Psychiatry che tale effetto può rimanere latente e che serviranno molti anni per capire fino in fondo l’impatto che il Covid-19 può avere sulla salute mentale. Esistono però pareri discordanti; sebbene sia chiaro il rapporto tra isolamento, ritiro e depressione, nel caso del ritiro sociale dovuto alla pandemia potrebbero esserci dei risvolti inaspettati. Alfio Maggiolini, docente di Psicologia del Ciclo di Vita presso l’Università di Milano-Bicocca, sottolinea come la clausura dovuta al lockdown sia stata e sia tutt’ora condivisa da tutti: questo potrebbe fare la differenza, in quanto non sono Io come singolo ad auto-isolarmi per i sentimenti di fragilità, insicurezza, vergogna, ma tutti siamo costretti al ritiro sociale per cause di forza maggiore. La condivisione di questa esperienza potrebbe essere la chiave per rendere meno negativi gli effetti psicologici del ritiro sociale dovuto alla pandemia. Chissà che gli adolescenti, pionieri nel vivere il mondo del virtuale, nel relazionarsi a distanza, nel chiudere il mondo esterno fuori dalla porta non possano sviluppare un senso di comunità che li avvicini, anziché continuamente allontanarli gli uni dagli altri. Certo questo a patto che la società, la scuola, la famiglia, si interessino a loro, dandogli la possibilità di esprimere le loro emozioni ed i loro pensieri in un linguaggio che possa essere adatto a loro, rispettando e tenendo in considerazione i cambiamenti profondi che vivono e di cui sono testimonianza. Non lasciandoli soli, dandogli voce e importanza, offrendogli modelli familiari e comunitari che smorzino quegli input che li inducono a rincorrere ideali estetici e patinati, ed alla conseguente delusione e vergogna del non poterli raggiungere. In tal senso, l’ideale è combinare progetti sociali che diano consapevolezza al singolo di non essere solo, che “normalizzino” le difficoltà dell’adolescente, che mostrino come i sentimenti di inadeguatezza siano condivisi e diffusi in questa fascia d’età, con una psicoterapia individuale e familiare, che prenda in carico il ragazzo ed al tempo stesso i genitori. Tutto ciò deve avvenire attraverso delle modalità di contatto e linguaggio che permettano un accesso al mondo dell’adolescente, che impieghino a proprio vantaggio internet ed il virtuale, dando una nuova chiave per codificare la realtà virtuale e per metabolizzarla. La strada è certamente lunga, ma questo momento di pandemia può paradossalmente significare un punto di partenza per far tornare i nostri ragazzi ad essere parte integrante del mondo e motore della rinascita che dovrà necessariamente avvenire.

Dott.ssa Chiara Caretti APV

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