Parlare di guerra, per imparare la pace

In questi giorni gli occhi del mondo sono rivolti a ciò che sta succedendo in Ucraina. Di nuovo, la guerra. Sembra impossibile, inconcepibile, che dopo tutti questi anni, dopo le cicatrici indelebili lasciate dai conflitti mondiali del 1900 chi è al potere non abbia imparato ad agire in nome della pace e della diplomazia. Di nuovo bombe, carri armati, case distrutte, vite spezzate, e tanto dolore. In realtà, gli uomini hanno continuato a combattere in questi anni: Siria, Afghanistan, Yemen, Mozambico, Somalia, sono solo alcuni dei paesi del mondo devastati dai conflitti. Eppure, il fatto che siano geograficamente e culturalmente lontani ci ha indotto a credere che per l’Occidente, per l’Europa, le guerre fossero finite. Si uccidono, sì, ma in quegli stati indefiniti, distanti, innominati e poveri. Ed invece, la guerra ha di nuovo bussato alla porta. I telegiornali sono pieni di immagini crudeli e testimonianze dolorose di quanto sta accadendo, il futuro sembra incerto, nessuno sa come potrebbe evolvere il conflitto e si è confusi ed impauriti. 

In tutto ciò, ci sono i bambini: loro che percepiscono che qualcosa non va, che intravedono le immagini in televisione, che magari hanno in classe compagni provenienti dalle nazioni interessate dal conflitto e che vogliono dare un senso a ciò che sta succedendo. Spesso chiedono: “Cos’è la guerra? Perché si fa?” Rispondere a domande di questo tipo ed affrontare argomenti così complessi non è facile, ma è necessario. Infatti eludere la conversazione, tergiversare o fingere che non accada nulla è come sfuggire alla responsabilità educativa di cui in quanto adulti, insegnanti, genitori si è caricati. Le parole non dette creano delle zone d’ombra nella psiche del bambino, lo confondono e possono indurlo a fantasticare, costruendo nuclei insoluti di conoscenza, ed a trovarsi delle spiegazioni autonomamente, magari sul web o chiedendo ad altri senza che si abbia la maturità di elaborare a livello psicologico tali informazioni apprese senza una mediazione.L’equilibrio psichico ed emotivo del minore può in tal senso compromettersi.

Ecco quindi che occorre prendere coscienza della modalità con cui parlare ai bambini di temi delicati come la guerra. E’ buona prassi modulare ciò che si dirà all’età dei bambini con cui si dialoga; se si tratta di bimbi della scuola Primaria, è sempre bene introdurre l’argomento partendo da una fiaba o da un racconto. Questo lo si può fare anche a casa, ma è certo che il contesto maggiormente adatto sia quello scolastico, per via della sua natura collettiva. Esempi di libri utilizzabili in tal senso si possono trovare sul sito di “Save the Children”; per citarne uno, “Il giorno che venne la guerra” di Nicola Davis, ed.Nord-Sud. Iniziare la riflessione con la lettura di una storia permette di non scendere troppo nel dettaglio, rischiando di svelare aspetti crudi difficili da elaborare per bimbi di quell’età, che potrebbero causare ansie e preoccupazioni. La dimensione del racconto è protetta, e consente di affrontare temi complessi ad un livello simbolico, in cui regna il “come se” ed in cui si possa parlare e pensare in un mondo astratto, che mantiene però legami con quello reale. Inoltre il momento della lettura condivisa crea di solito un clima rilassato a cui i bambini sono abituati, poiché rientra nella routine scolastica e familiare, e consente loro di vivere con maggior naturalezza e serenità la riflessione sul tema proposto.

Chiaramente, è più difficile gestire le risposte con i ragazzini più grandi, perché sono maggiormente consapevoli di ciò che significa “guerra” e delle conseguenze che essa comporta. Con loro potrebbe essere utile affrontare il tema partendo da testimonianze reali di loro coetanei, in modo da stimolare il rispecchiamento emotivo, ma sempre garantendo una protezione rispetto a quelli che sono gli aspetti più violenti e cupi della situazione bellica. Prima di entrare nel vivo del discorso si potrebbe proporre un “brainstorming” sul termine “guerra”, in modo da verificare conoscenze reali ed associazioni mentali riguardanti l’argomento in questione. Infatti, soprattutto per quanto concerne gli adolescenti, l’immagine mentale della guerra è costruita attraverso la mediazione di film e videogiochi: questo può indurre ad avere opinioni fondate su pochi elementi reali, e su molti di finzione. E’ importante smantellare questo tipo di credenze che rendono l’esperienza della guerra lontana e “romanzata”, attraverso la conversazione ed il dibattito. In ogni caso, è compito del conduttore adulto creare un ambiente di dialogo in cui i partecipanti non si sentano giudicati ed in cui sia presente un ascolto di tipo attivo che emani interesse e supporto emotivo. Costruire un clima di questo genere è fondamentale per contenere eventuali preoccupazioni ed ansie ed il contesto gruppale permette la condivisione emotiva delle stesse, nonché la loro normalizzazione.

Parlare di guerra implica il parlare di pace: dopo aver aperto un dialogo e stimolato una riflessione su ciò che la guerra è e sulle conseguenze che ha sulla vita delle persone, è bene promuovere una cultura pacifista, attiva ed interiorizzata. Per fare questo, si può ipotizzare di muoversi su un continuum di tecniche: per i bimbi più piccoli leggere un libro come “Favole di pace” di Mario Lodi, e/o creare un cartellone con dei disegni che raffigurino iconograficamente questi due grandi temi; ai ragazzini più grandi si può proporre la scrittura di lettere da indirizzare ai coetanei che vivono nei paesi interessati dal conflitto, agli adolescenti il racconto di esperienze concrete in cui le persone si impegnano attivamente in favore della pace. Sentire le testimonianze di chi, come i volontari delle ONG, fanno dell’esperienza di aiuto all’altro la loro missione di vita, conoscere il modo in cui si affrontano bisogni, difficoltà, sofferenze nei paesi dilaniati dalla guerra e sentire i successi, seppur piccoli, che si ottengono ogni giorno aiuta a capire che si può e si deve agire in modo positivo.

Ovviamente le tematiche di cui si è discusso qui in termini più generali ed astratti possono e devono essere riportate alla quotidianità del bambino e del ragazzo ed alla sua sfera relazionale, in modo che l’apprendimento e la conoscenza di ciò che significano la guerra e la pace possano fungere da guida nel risolvere i piccoli e grandi conflitti che si vivono normalmente con i familiari, gli insegnanti, i compagni, gli amici. Far capire loro che c’è sempre una scelta, è questo il nodo cruciale: si può decidere ogni giorno se fare la guerra o la pace, ma quello che conta è comprendere perché essenzialmente, inequivocabilmente, profondamente, un’opzione sia meglio dell’altra.

Dott.ssa Chiara Caretti

 

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