Lady Porridge e l’ora del tè

La signora Porridge era, senza dubbio, la donna più odiata del condominio Mezza Tegola. A differenza delle altre signore di una certa età che sorridevano ai bambini, indossavano abiti a fiori e avevano sempre delle caramelle nella borsa, la signora Porridge borbottava di continuo e guardava tutti con aria arrabbiata.

I vicini cambiavano direzione quando capitavano sulla sua strada, forse per il fatto che indossava mantelline scure che le davano un’aria vampiresca o per i capelli spettinati o addirittura per l’espressione accigliata in volto. Tutto di lei lasciava pensare che fosse una signora perfida e solitaria.

Non c’era nessuno che andasse a trovarla, eppure i vicini la sentivano fare lunghi discorsi. Quello che non sapevano era che nella mansarda erano in due: lei e Cenere, un gatto grigio dall’aspetto malaticcio che non miagolava mai. Cenere muoveva i baffi quando qualcosa non gli piaceva come le giornate soleggiate, le canzoni allegre e i grattini sulla pancia. Mentre la signora Porridge usciva, lui restava sulla poltrona a guardare noiosi programmi televisivi. Se era fortunato e c’erano ancora dei biscotti alle sardine li sgranocchiava affacciato alla finestra, e non c’era nulla che potesse renderlo più felice.

Una mattina, venivano giù dal cielo gocce di pioggia grandi quanto bottoni. Era la giornata perfetta per uscire per una donna di una certa età come la signora Porridge, ma anche la giornata perfetta per starsene dietro ai vetri per un gatto come Cenere.

Con gli stivali di gomma e la mantella impermeabile, la signora Porridge era sicura che non si sarebbe bagnata e uscì di casa portando con sé il fedele carrellino. Non è che avesse delle faccende importanti da sbrigare o amici da incontrare, andava alla ricerca di vecchi oggetti che nessuno voleva più. Come i vagoni dei trenini giocattolo che occupavano la mensola del caminetto; le tazzine da tè infilate una nell'altra tra gli spazi vuoti della libreria; i pezzi delle caffettiere appese al muro della cucina e tanti altri oggetti che nessuno si sarebbe sognato di portare in casa.

Stava attraversando il ponte per andare dall’altra parte della città quando si accorse di un luccichio nell’acqua. Sembrava una barchetta che navigava solitaria sul fiume, ma solo quando fu abbastanza vicina, la signora Porridge capì che si trattava di una semplice teiera. Finì lo stesso nel carrellino insieme a un salvadanaio e un pelapatate, e quello fu tutto ciò che riuscì a trovare in quel giorno di pioggia.

Tornata a casa, la signora Porridge lasciò il carrellino e gli stivali all’ingresso e se ne andò in cucina. Era quasi ora della merenda e decise di preparare i biscotti alle sardine per Cenere e un tè caldo per lei. Poco dopo, mentre la puzza di pesce invadeva la casa, si sentì un tintinnio provenire dalla porta d’ingresso. Cenere era troppo pigro per andare a controllare, ma la signora Porridge si avvicinò con un mestolo da cucina ben stretto in mano.

«Se esce un topolino lo prendi tu!» disse con un leggero tremolio nella voce.

Il tintinnio si interruppe e si sentì come il suono di uno starnuto, ma molto piccolo. A quel punto la signora Porridge iniziò a estrarre gli oggetti dal carrellino. Con la teiera tra le mani si accorse che doveva contenere qualcosa e posandola ai suoi piedi tolse il coperchio.

«Etciù!»

La signora Porridge strizzò gli occhi e guardò Cenere come a volere una conferma che qualcuno avesse appena starnutito da lì dentro. Una cosina piccola come un uccellino si fece strada fuori dalla teiera, aveva i vestiti fradici e tremava un po’.

«Finalmente una vera casa!» esclamò una vocina contenta.

La signora Porridge si abbassò fino al pavimento per vedere chi avesse parlato. Ai suoi piedi c’era una bambina minuscola, alta poco più di un pennarello.

«Chi sei?» le chiese muovendo su e giù la testa. «C’è qualcun altro lì dentro?» e indicò la teiera con il mestolo.

«Ci sono solo io!» rispose parlando in fretta. «Ma sono più che sufficiente! Ci divertiremo insieme, vedrai!» aggiunse facendo l’occhiolino.

La bambina passò sotto il divano e raggiunse la cucina, era agile e veloce e in un attimo si arrampicò sul tavolo. Intanto la signora Porridge controllava l’interno della teiera per capire come ci fosse arrivata una bambina lì dentro.

«Sono orribili!» si lamentò la bambina dopo aver addentato un biscotto.

«Quelli sono per Cenere!» si affrettò ad avvisarla la signora Porridge, e in un attimo fu di nuovo in cucina.

«Li preparo io dei veri biscotti» disse parlando in fretta, «e ci metto tanto cacao.»

La signora Porridge aveva appena allontanato i biscotti dal tavolo, ma alle sue spalle, la bambina si stava infilando nel barattolo della farina.

«Cosa… Cioè, chi sei?» ripeté incuriosita.

«Solo la bambina della teiera.» rispose facendo spallucce. «Puoi darmi tu un nome se vuoi!» ridacchiò dopo aver alzato un polverone di farina intorno a sé.

Si muoveva in fretta, parlava in fretta, forse pensava anche in fretta, andava troppo veloce per la signora Porridge che faceva tutto molto lentamente e non riuscì più a trattenersi.

«Basta!» urlò battendo un piede per terra. «Ritorna nella tua teiera. Io non voglio nessuna bambina!»

Tutti i bambini odiano essere sgridati, anche quelli così piccoli da entrare in un taschino, e la bambina non riuscì a trattenere due grossi lacrimoni che le rigarono le guance. Iniziò a singhiozzare e la signora Porridge rimase in silenzio con le braccia conserte. Non le capitava spesso che i bambini facessero i capricci davanti a lei e non disse nulla per farla smettere. La bambina continuò a piangere finché Cenere non fu così vicino da poterle fare il solletico con la coda. Aveva in bocca il suo gomitolo di lana preferito e lo lasciò cadere vicino alla bambina. Iniziarono a giocare insieme sotto gli occhi increduli della signora Porridge.

«Non è possibile! Ci dev’essere un errore!» mormorava tra sé e sé ripulendo la farina sparsa qua e là.

Intanto Cenere seguiva la bambina che rincorreva il gomitolo e sembrò addirittura che si stesse divertendo. Non aveva mosso per niente i baffi e anche se in televisione era iniziato il suo programma preferito non smise di giocare per sdraiarsi sulla poltrona. Poco dopo accadde una cosa davvero bizzarra: l’orologio a cucù appeso al caminetto suonò le sei in punto e la bambina si fermò di colpo e smise di giocare.

«Devo rientrare. Il tempo è scaduto!» esclamò, e fece una corsa verso la teiera tuffandosi dentro.

La signora Porridge e Cenere si scambiarono uno sguardo e poi si avvicinarono lentamente alla teiera guardandola dall’alto. All’interno c’era la bambina che dormiva rannicchiata sul fondo e qualcuno si lasciò scappare un miagolio.

«Non resterà con noi!» sbottò la signora Porridge. «E non cambierò idea» aggiunse allontanandosi nell’altra stanza.

La bambina dormì per tutta la sera e tutta la notte, e Cenere si accucciò accanto alla teiera per tenerla al calduccio. La signora Porridge aveva un’espressione contrariata e le venne il singhiozzo come tutte le volte che doveva fare qualcosa che proprio non le andava. Se ne andò a letto senza avere sonno e continuò a rigirarsi tra le coperte finché non decise di trovarsi qualcosa da fare. La casa era buia e silenziosa, nonostante la signora Porridge continuasse a riempirla di oggetti le sembrava sempre vuota. Fece un lungo sospiro e poi aprì la porta infondo al corridoio. All’interno c’erano scatole di dimensioni diverse, una appoggiata all’altra, e nell’angolo sotto alla finestra c’era una culla coperta da un lenzuolo bucato. La signora Porridge passò nella stanza senza toccare nulla, scrutando da lontano così come si osservano gli oggetti di un museo. Pensò che sarebbe stato bello sentire una risata provenire da quella stanza, anche solo per una volta, o vedere un disegno appeso al muro, ma si ricordò di non essere una donna di una certa età come tutte le altre; lei era la perfida signora Porridge.

Il mattino seguente aveva smesso di piovere, Cenere si era svegliato facendo le fusa e intorno a lui e la teiera era apparsa una coperta di lana sferruzzata a mano. La signora Porridge non aveva più il singhiozzo e sorseggiava un caffè amaro seduta in cucina. Cenere la raggiunse. Come ogni mattina, gli avvicinò un biscotto alle acciughe, ma il gatto girò la testa verso il piattino di biscotti al cacao appena sfornati.

«Non ti fare strane idee» disse inarcando le sopracciglia. «Non li ho preparati per lei. Se non ci credi posso mangiarli tutti in un boccone!» e si ficcò due biscotti in bocca, anche se il cacao non le piaceva affatto.

Non voleva ammetterlo, ma si domandava quando la bambina si sarebbe svegliata.

Dormì ancora per molte ore e la signora Porridge restò in casa ad annoiarsi sfogliando una marea di riviste sul divano. Quando arrivò l’ora del tè, la signora Porridge si alzò per mettere l’acqua sul fuoco e sentì di nuovo il tintinnio del giorno precedente. Anche Cenere lo senti e si girarono insieme verso la teiera. Il coperchio si sollevò spinto dall’interno e apparve il faccino contento della bambina.

«Buongiorno per tutto il giorno!» esclamò piena di energie. «Che bello svegliarsi in questa casa! Ho sognato che giocavo con il gomitolo di lana e che preparavo i biscotti al cacao» aggiunse con aria sognante.

Stava di nuovo per aprire bocca, ma la signora Porridge riuscì a precederla.

«Frena, frena!» disse in fretta. «Non ho ancora deciso se ti terrò! Cosa ci facevi tutta sola in mezzo al fiume?»

La bambina guardò in basso, i piedini scalzi si avvicinarono tra loro fino a calpestarsi.

«Qualcuno mi avrà buttata via, immagino» fece un sospiro. «Ogni giorno, all’ora del tè posso svegliarmi e uscire dalla teiera, ma solo per poco tempo. Non sono sempre una bambina, posso essere tutto quello che gli altri desiderano.» Fece una pausa e guardò la signora Porridge che l’ascoltava con attenzione.

«Scommetto che tu desideravi una bambina, ma ora mi butterai via perché sono della misura sbagliata.» Mugugnò triste. Sembrava che stesse di nuovo per mettersi a piangere. «Non è colpa mia. La teiera si è scheggiata.» Si giustificò strofinandosi gli occhi.

Cenere si fece scappare un altro miagolio poggiando una zampa sulla mano della signora Porridge. La bambina aveva iniziato a singhiozzare e stava per rientrare nella teiera, ma la signora Porridge si alzò all’improvviso facendo cadere la sedia all’indietro.

«Sono o non sono la signora Porridge!» esclamò a testa alta. «Io non butto via niente di rotto e scheggiato, al massimo lo porto a casa con me!» Aggiunse arrossendo un pochino.

La bambina si voltò e prima di saltare per la gioia fece un’ultima domanda: «Vuol dire che posso restare anche se sono così piccola?»

«Se non ti creano problemi i gatti grigi e spelacchiati e le donne di una certa età che non mangiano biscotti al cacao, sei libera di dormire in tutte le teiere di questa casa sgangherata.»

Sul volto della bambina apparve un sorriso talmente grande che le sarebbe rimasto fino al giorno seguente quando uscendo dalla teiera avrebbe trovato una casetta delle bambole fatta su misura per lei, un paio di scarpe per piedini grandi quanto un centesimo e una mantellina con il suo nome ricamato sopra: Tea.

Jasmine Mottola

Il blog di Jasmine

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