Essere differenti è qualcosa di positivo o di negativo? Qualcosa che andrebbe sostenuto e sottolineato o qualcosa di cui vergognarsi?
Siamo tutti diversi dagli altri per qualcosa. Le differenze sono ciò che distinguono una persona da un’altra e che la rendono unica e irripetibile e pertanto qualcosa che andrebbe
valorizzato. Non sempre però le differenze sono ben viste: spesso queste sono oggetto di prese in giro, emarginazione e isolamento. Ma perchè?
Educare alle differenze significa lavorare per costruire un senso di cittadinanza, inclusione e uguaglianza capace di apprezzare ciò che distingue una persona da un’altra.
Ma come si educa alle differenze?
Innanzitutto si può dire che esistono diversi contesti in cui questo può essere fatto: a casa, a scuola, in un contesto sportivo, nelle attività di tutti i giorni… Insomma, ovunque!
Educare alle differenze significa:
● Dare pari opportunità con un significato di equità più che di uguaglianza
● Riconoscere le differenze tra maschi e femmine, ma rifacendosi a delle differenze concrete e reali e non ancorate a degli stereotipi
● Contrastare modi di dire e abitudini che rafforzano stereotipi di genere
● Educare al rispetto reciproco
● Imparare a riconoscere l’altra/o come individuo unico
● Contrastare il bullismo e la sopraffazione
● Prevenire con l'educazione sentimentale e all’affettività
● Prevenire la violenza attraverso la formazione
La scuola ha un ruolo fondamentale in tutto ciò: questa rappresenta infatti un luogo comune, dalla quale devono passare tutti e attraverso cui si può arrivare a più persone contemporaneamente. Inoltre, se si considera la quantità di ore che i bambini passano a scuola, si può subito intuire la potenzialità di questo luogo come opportunità di occasioni attraverso cui apprendere e imparare. A scuola si possono combattere gli stereotipi di genere nel quotidiano arrivando anche a quegli individui che nel contesto domestico hanno delle famiglie disfunzionali che non sempre possono insegnare loro questi messaggi. In questo modo non si arriva solo a coloro che, più fortunati, hanno già dei modelli positivi, ma anche a coloro che non ne hanno e che in questo modo avrebbero la possibilità di apprendere nuove modalità e nuovi modelli positivi da poter prendere come esempio. La scuola inoltre è un perfetto luogo utile a stimolare il pensiero critico, la libertà dai modelli imposti, la comprensione dell’esperienza del mondo basata sulla conoscenza e non sul pregiudizio.
Un tema molto importante viene discusso nel libro Sguardi differenti della casa editrice “Mammeonline”: come si può lavorare fin da subito contro gli stereotipi di genere? Parlando.
Sì, perché il linguaggio definisce il nostro primo modo di dare e ricevere l’identità e su questo noi basiamo il nostro riconoscimento e quello degli altri. Le parole ci rappresentano, raccontano di noi e ci aiutano a dare forma ai pensieri e di conseguenza ai comportamenti.
Tutto quello che viene nominato esiste (in modo concreto o astratto); ciò che invece non viene nominato è come se non esistesse. A tal proposito, si è sollevato negli ultimi anni un grande dibattito rispetto all’utilizzo di alcune parole al femminile. L’italiano sembra essere l’unica lingua romanza in cui le professioni di prestigio non vengono declinate al femminile.
Parole come “architetta”, “consigliera”, “medica”, “notaia”, “prefetta”, “sindaca”, “consigliera”, e molte altre non vengono usate spesso. A volte queste declinazioni esistono già nella lingua italiana, ma non vengono utilizzate per svariati motivi come quello per cui una determinata parola “suona male” oppure perché la declinazione al maschile sembra dare più rilievo alla professione.
Queste sono delle trappole che confinano le persone ad autocostruirsi dei limiti e, a lungo andare, delle convinzioni che vanno a confermare la supremazia del maschile sul femminile.
Frasi ripetute possono plasmare comportamenti di donne e uomini: “Non piangere", "Non sei mica una femminuccia”o “Non fare il maschiaccio”. Questi modi di dire possono sembrare innocui e banali, ma, a lungo andare, non lo sono affatto: ciò che viene ripetuto più e più volte può portare al consolidamento di alcune credenze dannose, come ad esempio quella di credere che piangere ed essere come una femmina sia una debolezza. Oppure come credere che una ragazza si debba comportare in modo composto e grazioso per non sembrare un “maschiaccio”.
Altri stereotipi di genere possono influenzare credenze e prestazioni: lo stereotipo per cui i maschi sono più bravi in matematica rispetto alle femmine ne è un esempio. Molteplici studi condotti nei Paesi industrializzati hanno evidenziato che le differenze nell’apprendimento della matematica tra maschi e femmine sono praticamente nulle. Ciò che rimane ancora però sono le differenze (spesso inconsapevoli) nell’educazione dei bambini che spesso scoraggiano le femmine dall’intraprendere percorsi di studio e carriere professionali in ambito scientifico e matematico.
Ogni persona, che sia maschio o femmina, ha il diritto di crescere senza essere ostacolato da quei limiti di genere imposti dalla società.
Il documentario “Bomba libera tutti”, evidenzia molto bene gli stereotipi e le differenze di genere dalla prospettiva di una quarta elementare. Qui potete trovare il link:
https://www.youtube.com/watch?v=5-_BIpb-dDc .
Valorizzare le differenze e fare in modo che queste non siano fonte di discriminazione o di ostacolo si può fare. Le persone però cambiano se cambiano i linguaggi, e viceversa. Si potrebbe cominciare con il parlare in modo da non fare generalizzazioni o discriminazioni per il genere o per qualunque altra differenza che si possa avere, cercando di evitare frasi o modi di dire che confinino le persone in uno stereotipo e valorizzando le caratteristiche, le capacità, le ambizioni e gli obiettivi di ogni bambino e bambina.
I fatti contano, ma anche le parole hanno un grande peso.
Dott.ssa Mirta Veniani
Bibliografia citata:
AA. VV., Sguardi differenti, il punto su sessismo, gender e alienazione genitoriale, 2016, Casa editrice Mammeonline