Echino intervista Albert Einstein - Le interviste impossibili

Echino intervista Albert Einstein

Echino: Professore, posso entrare?

Albert: Uff... (uno sbuffare lieve arriva da dietro una pila di libri) Ma dove sarà finito? Sono più che certo di averlo lasciato qui.

Echino: Ehm... professore, mi scusi...

Albert: (alza la testa e vede Echino) E tu chi... ah, già, devi essere il giornalista bambino di cui qualcuno mi ha parlato. Certo certo, vieni pure avanti!

Echino: ( rosso rosso) Sono un po' imbarazzato, professore. Sa, non capita mica tutti i giorni di presentarsi davanti a uno dei più grandi geni della storia!

Albert: Macché genio, macché professore, non scherziamo, mi chiamo Albert e tu?

Echino: Io mi chiamo Echino, profes... cioè Albert e, se non ti dispiace, vorrei farti qualche domanda. La maestra ti nomina in continuazione e a noi sono venute un sacco di curiosità.

Albert: Ooooh, ma sì, la maestra, mi piacerebbe proprio conoscerla e sapere cosa ti racconta. Anche la mia mi faceva venire tante curiosità.

Echino: Ah, bene, allora sai cosa si prova quando fai delle domande e ti danno delle risposte.

Albert: (grattandosi la testa) Veramente no.

Echino:  (perplesso) Vuoi dire che non eri contento quando la tua maestra rispondeva alle tue domande?

 Albert: Voglio dire che non rispondeva.

Echino: (sempre più perplesso)  Ma come sarebbe? La mia maestra non fa altro che ripeterci bambini, se avete dei dubbi, fatemi delle domande.

Albert: Sai, uhm... come hai detto che ti chiami? Ah sì, Echino! Be' Echino, la mia maestra forse era convinta che dopo le sue spiegazioni nessuno avesse dubbi. (grattandosi ancora la testa) Ma dove sarà mai?

Echino: (incuriosito) Stai cercando qualcosa?

Albert: Sì, credo che tu sappia cosa vuol dire avere un portafortuna. Cioè, fortuna non ne porta, ma, come dire... un oggetto del cuore. Anch'io ne ho uno che mi ha accompagnato da quando avevo la tua età.

Echino: Sì sì, qualcuno quando ero piccolo mi ha regalato una piccola scimmia di peluche e siccome la stringevo, anzi la mordicchiavo sempre, mia mamma me la metteva anche nel lettino. È stato così che siamo diventati inseparabili. Ti dico un segreto, Albert, anche adesso la nascondo nello zaino quando vado a scuola, altrimenti la mamma mi dice che non posso portare dei giochi. Lei non capisce, ma Smiley non è un gioco, conosce tutti i fatti miei e se mi succede qualcosa di brutto è sempre lì, pronta ad ascoltarmi.

Einstein

Albert: Oh, come ti comprendo, Echino. Io non ho una scimmia che mi stia a sentire, ma ho il mio oggetto del cuore e lo sto cercando da stamattina. Anzi, se tu volessi darmi una mano, te ne sarei molto grato. Devi cercare un retino, sì, un retino per le farfalle.

Echino: Noooo, non ci posso credere (Echino è quasi sconvolto). Ma come? La maestra non fa che ripeterci di quanto ami la Natura e Albert di qua e Albert di là e adesso tu mi dici che ti diverti a usare un retino per imprigionare le farfalle? Allora la maestra non dice la verità.

Albert: Ma cosa hai capito, Echino? Quello che ti ha raccontato di me la tua maestra, è vero: io amo la Natura e non farei mai qualcosa contro di lei. Il mio retino mi serve per afferrare... i pensieri.

Echino: (ormai non riesce più a nascondere il suo stupore) Credo di non capire.

Albert: Vedi, come stavo per dirti prima, io avevo tantissime curiosità e volevo soddisfarle, ma non era assolutamente permesso interrompere l'insegnante. Poi, se qualche volta riuscivo a fare una domanda, non ricevevo mai una risposta. Così, mentre la maestra continuava a parlare e a parlare, finiva che mi perdevo dietro ai miei pensieri e non sentivo più niente, nemmeno se qualcuno mi chiamava. Capitava sempre in quei momenti che la maestra si ricordasse di me e non avendo risposta si avvicinasse e mi scuotesse. Subito dopo mi scherniva Oh, Einstein (sì, perché allora gli alunni si chiamavano per cognome) ammesso che tu abbia dei pensieri, devono essere leggeri come farfalle, così che subito volano via. Fu per quello, forse, che cominciai a immaginare  un retino che mi aiutasse ad afferrare i pensieri che scappavano via e magari anche le risposte ai tanti interrogativi che mi ponevo. Raccontai a mio zio Jacob la storia del retino acchiappapensieri e lui rise così tanto, ma così tanto che un giorno mi chiamò per dirmi che mi aveva fatto un regalo e io scartai... un vero retino da farfalle che da quel giorno mi ha seguito ovunque.

Echino: Davvero ovunque? Anche quando ti hanno dato il premio Nobel, avevi il retino?

Albert: Certo! Avevo modificato solo il manico originale, per renderlo più corto e poterlo infilare in qualsiasi cartella o valigia e così, davvero ho potuto portarlo con me ovunque.

Echino: Senti, Albert, puoi rispondere adesso a una domanda che ho sempre pensato di farti? La mia maestra quando parla di te ha sempre un sorriso stampato sulle labbra e ripete eh, quando si nasce geni! Ma come si fa a nascere geni?

Albert: Veramente, caro Echino, se dobbiamo dire le cose come stanno, quando ero bambino, devo aver creato molti problemi ai miei genitori. Infatti quando avevo quattro anni, non dicevo ancora una parola, perciò mi portarono da un dottore molto bravo. Lui mi osservò con attenzione, controllò tutto quello che era possibile di quei tempi e poi parlò ai miei sottovoce: temo di dovervi dire che vostro figlio è un ritardato!

Echino: Ma Albert, vuoi prendermi in giro?

Albert: No di sicuro, Echino! I miei genitori erano dispiaciuti, ma forse quando cominciai ad andare a scuola si convinsero che quel dottore non aveva sbagliato, perché devi sapere che andavo decisamente male: la mia maestra, ogni volta che doveva correggere un mio compito, aveva un sacco di problemi. Prendeva il quaderno, lo guardava, poi lo girava dall'altra parte e lo riguardava convinta di aver sbagliato a prenderlo, poi diventava tutta rossa, mi strappava il foglio e lo lanciava nel cestino della carta dicendo il giorno in cui le lettere nei tuoi quaderni avranno un senso, faremo suonare la banda!

Echino: Oh, povero, ma allora questa maestra era cattivissima!

Albert: Sai, Echino, nonostante tutto, non l'ho mai pensato: mi piaceva così tanto, al punto che un giorno pensai di scriverle una lettera e fargliela trovare sotto il registro. Le raccontai quanto le volevo bene.

Echino: Ah, meno male! Allora finalmente ha capito tutto e ti ha premiato.

Albert: No, non è andata così. Quando trovò la mia lettera sotto il registro, la aprì, la girò e rigirò da tutte le parti, come faceva con i quaderni. Poi tutta rossa, la appallottolò e la lanciò nel cestino urlandomi senti cosa ho da dirti, Einstein, sei un buono a nulla, non combinerai mai niente nella vita!

Echino: (mortificato) Mi dispiace...

Albert: Sai allora cosa feci? Alla ricreazione, senza farmene accorgere, raccolsi la lettera dal cestino e dietro ci scrissi la data e le parole che mi aveva detto. Così... tanto per rileggerle ogni tanto e pensare che forse aveva ragione lei.

Echino: Ma non è vero!

Albert: Già! Spesso si fa fatica a comprendere qualcuno quando si comporta diversamente da tutti i coetanei.
Vuoi sapere una cosa buffa, Echino? Quando mi hanno consegnato il Nobel, indovina chi c'era seduto in prima fila? Proprio lei, la mia maestra che raccontava a tutti una strana storia Io, io sono stata la sua maestra e l'ho sempre detto che era un genio!
Sentendola tastai la tasca interna della giacca, in cui conservavo ancora quella lettera e per un attimo ebbi l'impulso di ridargliela. Ma non lo feci, Echino, a cosa sarebbe servito?
Però a te la faccio leggere se vuoi, dandoti un consiglio: per decifrarla, ti serve solo... uno specchio!

Albert: Oh, eccoti finalmente! (prendendo il retino dalle mani di Echino)

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